UNUCI MODENA |
dimostra la nascita di questo secondo figlio, avvenuta a breve distanza dal primo. Poco dopo questa nascita, fu combinato il terzo matrimonio con Giorgio della Croce, milanese, nominato (da Rodrigo) segretario apostolico dell’allora regnante pontefice Sisto IV. Nel frattempo le sue ricchezze lievitavano notevolmente non solo per i favori dell’amante ma per il suo spiccato senso degli affari. Inoltre il terzo marito era un uomo facoltoso, proprietario di una splendida villa sul colle Esquilino, rimasta per lungo tempo un luogo legato alla memoria di Vannozza. Alla fine del 1479, nuovamente incinta, andò a trascorrere la gravidanza nella rocca dei Borgia a Subiaco, dove il 18 aprile dell’anno seguente diede alla luce Lucrezia, destinata a diventare un altro personaggio famoso nella storia, ingiustamente calunniata come autrice di infami delitti, ma “riabilitata” dalla storiografia più recente. Infine, l’anno dopo (1481) partorì Jofrè (Goffredo), l’ultimo dei figli che avrebbe dato a Rodrigo. Dopo questa nascita, infatti, la frequentazione fra i due divenne più scarsa e Vannozza potè dedicarsi alla vita coniugale (quella vera con il marito) e concepire Ottaviano, figlio legittimo del marito Giorgio della Croce. Ma forse Vannozza non era destinata ad avere una famiglia normale: nel 1486 a pochi giorni l’uno dall’altro morirono sia il marito che il figlio. Subito intervenne Rodrigo, combinando quella che per lei fu l’unione più riuscita: il matrimonio con Carlo Canale, dotto umanista, profondo conoscitore delle lettere e della poesia, per molti anni camerlengo del cardinale Francesco Gonzaga. Questo matrimonio segnò una svolta nella sua vita; cambiò anche abitazione lasciando il palazzo donatole da Rodrigo all’inizio della loro relazione, per un’altra in Piazza Branca e una grandiosa villa nel quartiere della Suburra. Fin dall’inizio il marito Carlo Canale si affezionò grandemente ai figli del cardinale, in particolar modo alla piccola Lucrezia alla quale trasmise il suo amore per le scienze umanistiche e iniziandola allo studio del greco, del latino, della poesia e delle arti in genere. Nel 1488 Vannozza gli diede anche un figlio. A questo punto il forte legame con il cardinale Borgia poteva considerarsi concluso, tuttavia fra i due rimase sempre vivo un forte sentimento di affetto e stima e un immenso amore condiviso per i figli. Quando il 6 agosto del 1492 il cardinale Federico Borgia fu eletto al Soglio Pontificio con il nome di Alessandro VI, Vannozza era in Piazza S. Pietro, con Lucrezia e la cugina Adriana, ad applaudirlo assieme ad una sterminata folla in tripudio. Poi Vannozza dovette rinunciare alla convivenza con i figli, chiamati al destino che il padre aveva disegnato per loro. Intanto l’amante ufficiale di Alessandro VI era diventata la giovane e bellissima Giulia Farnese. I figli seguivano il loro destino, tragico per Cesare e Juan, avventuroso e “ducale” quello di Lucrezia, nella norma quello di Joffrè (l’ultimo figlio del Borgia) che visse alla corte di Napoli. Solo Lucrezia sopravvisse alla madre per pochi mesi. Negli ultimi anni della sua esistenza Vannozza condusse una vita di penitenza e di espiazione, nel tentativo di ottenere il perdono per i gravi peccati commessi in gioventù. Aderì alla Confraternita del Gonfalone, alla quale lasciò tutti i suoi ingenti averi. Morì il 26 novembre 1518 all’età di 76 anni. Dei suoi resti, tumulati nella chiesa di S. Maria del Popolo, accanto a quelli del figlio Juan, non rimane più traccia a causa della spogliazione e devastazione della chiesa effettuata dai Lanzichenecchi nel 1527. Considerazioni. La figura di Vannozza Cattanei non ci deve scandalizzare eccessivamente. Era una donna del suo tempo e la sua condotta, nella particolare sua situazione, non era dissimile da quella di altre nobildonne e cortigiane. Certo non tutte furono così disinvolte, ma chi ha avuto un’occasione come la sua? Poi alla fine , come abbiamo detto più sopra, si è convertita ed ha chiesto perdono a Dio. Uno storico suo contemporaneo, che la conobbe personalmente, la chiama donna perbene:”se non altro fu tale in vecchiaia, quando con opere di pietà cercò di espiare i suoi peccati giovanili come fanno tante altre donne della sua razza e come fece la sua celebre figlia”. Altro è invece il giudizio su Alessandro VI. Pur sfrondandolo da calunnie e leggende nefaste, il suo pontificato rappresenta il punto più basso cui arrivò la storia della Chiesa. L’aver abbellito Roma, protetto artisti di valore e l’essersi dimostrato abile uomo di Stato, poco gli giova. A parte una vaga devozione, più che altro di maniera, per la Vergine, di religione non si occupava per nulla. La lettura delle Sacre Scritture lo annoiavano profondamente e di teologia era completamente all’oscuro. Non mostrò mai altri interessi che non fossero quelli di sfrenato potere per sé e i suoi figli. La sua morte non suscitò rimpianti e commozione in alcuno. Roma eterna e abituata a tutto, mise pochissimo tempo a fare sparire ogni traccia dell’esecrando periodo del suo regno.
Egidio Bigi
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Un Po’ di Storia
VANNOZZA CATTANEI
Chi è Vannozza Cattanei? Immagino di rivolgere questa domanda a un vasto uditorio di colleghi e gentili signore convenuti alla nostra UNUCI per una conferenza e di vedere ben poche mani alzate per rispondere alla domanda. Nessuna meraviglia; Vannozza non si trova sui libri di storia che abbiamo avuto tra le mani nel nostro curriculum scolastico e raramente in altri che possiamo avere letto in seguito…, però è un personaggio importante e, alla sua epoca, molto famoso. La sua figura si intreccia con quella, ben più imponente e determinante per l’influenza avuta nelle vicende del suo tempo e di quello dopo, di Rodrigo Lanzo Borgia, vale a dire Papa Alessandro VI (Stato di famiglia: scapolo con sette figli; professione: sommo pontefice) di cui fu per lunghi anni l’amante, quasi moglie. Della sua origine e dei suoi primi anni di vita non si sa molto. E’ certo che nacque nel 1442 da genitori mantovani (o da una famiglia romana non di alta nobiltà) e che ben presto giunse a Roma ove gestì alcune delle locande più rinomate della città. Fra queste la più nota fu la Locanda della Vacca nei pressi di Campo de’ Fiori, frequentata da personaggi di alto rango che amavano intrattenersi con le numerose prostitute di cui Vannozza si circondava. Queste attività le fruttarono molti soldi da fare invidia anche ai grandi nomi dell’aristocrazia romana, in ciò favorita dal lungo legame prima sentimentale e poi affettivo, con il cardinale Borgia, assurto alla carica di Vicecancelliere di Santa Romana Chiesa a soli 26 anni per intercessione di Papa Callisto III, suo zio. Vannozza era allora una donna di notevole intelligenza e grande avvenenza, di una bellezza opulenta e conturbante accentuata da una splendida chioma corvina. A tali doti non poteva rimanere insensibile il giovane e aitante cardinale Rodrigo Borgia che, dopo anni di amori fugaci con innumerevoli donne e nobildonne, decise di farne la sua concubina ufficiale cui rimase strettamente legato, per un lungo periodo della sua vita, come solo avrebbe potuto essere un vincolo matrimoniale, comunque per lui impossibile per la sua posizione di alto prelato. In quel periodo il cardinale ereditò dallo zio Papa Callisto e dal fratello don Pietro Luis enormi ricchezze destinate ad incrementarsi nel tempo ed a fare di lui il più ricco dei cardinali. Era una bella persona, colto e con un’indole appassionata che esercitava un’attrattiva magnetica sulle donne e il suo innamoramento per Vannozza fu certamente profondo e sincero. L’incontro tra i due si presume avvenuto tra il 1465 e il 1469 quando lei aveva un’età compresa tra i 23 e 27 anni e lui tra i 34 e 38. Forse Vannozza fu amante (prima di conoscere il Borgia) del cardinale Giuliano della Rovere, il futuro Papa Giulio II, ma questo non porta ulteriore nocumento all’immagine della donna di cui stiamo trattando. La certezza storica ci tramanda che Vannozza fu concubina di Rodrigo Borgia e madre di quattro dei suoi figli. Nonostante la sua posizione di amante riconosciuta e rispettata di uno dei cardinali più potenti della Chiesa di Roma, Vannozza doveva, per convenienza, avere un legittimo consorte. Di questo se ne occupò direttamente Rodrigo che avrebbe poi provveduto anche per i successivi tre matrimoni resisi necessari man mano che Vannozza, per uno strano destino, rimaneva nello stato vedovile. Si badi bene che i mariti, che erano anche persone dignitose e di alto rango, morivano per cause naturali e non per intrighi o attentati non estranei alla moda del tempo. Il primo matrimonio, combinato come già detto dallo stesso cardinale, avvenne nel 1474 con Domenico Giannozzo d’Arignano, quando Vannozza aveva 32 anni. Un anno dopo nacque il primo figlio Cesare (il famoso Cesare Borgia, Duca Valentino, di cui tutti, questa volta sì, abbiamo sentito parlare). Rimasta subito vedova, Vannozza andò in sposa a certo Antonio da Brescia di cui ben poco si sa, per rimanere nuovamente vedova dopo circa due anni, ma nel frattempo mettendo alla luce il secondo figlio Juan (Giovanni). La relazione con il cardinale era intensa, quasi quotidiana, come
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Le Nostre RubricheUn ufficiale modenese ammirato dalla popolazione etiope
Fra le carte conservate dalla famiglia Nasi è stata trovata una lettera inviata da Renato Piacentini, già Ministro Plenipotenziario d’Italia in Etiopia, al Generale d’Armata Guglielmo Ciro Nasi. In testa alla lettera il Generale Nasi ha scritto di suo pugno: “questa lettera non potrà rendersi pubblica che nell’anno 2000 al più presto”. Il perché di questa nota risulta evidente leggendo la lettera nella quale sono riportate considerazioni personali del figlio del Negus Hailè Selassiè, su personalità del Governo Etiopico dell’epoca, che avrebbero potuto creare non poco disagio allo stesso Sovrano. Oggi abbiamo largamente superato il termine imposto dal Generale Nasi e ci sembra doveroso rendere pubblica una missiva che riporta pensieri lusinghieri nei confronti dell’alto Ufficiale modenese:
“Roma 14/7/53
Carissimo Nasi, Qualche giorno fa, quando ebbi il piacere di vederti qui a Roma, ti accennai a un interessante colloquio da me avuto in Addis Abeba, nell’agosto 1952, col Duca di Harar, secondogenito dell’Imperatore d’Etiopia, durante il quale si parlò anche di te. Perché ti resti un ricordo più preciso di questa singolare conversazione, te la riassumo oggi per iscritto. Come sai il Duca di Harar è un giovane del tutto europeizzato, molto intelligente, dinamico, affarista, gaudente, in pieno contrasto col quarantenne fratello primogenito Asfà Oussein, Duca di Dessiè, Principe ereditario d’Etiopia, uomo d’intelligenza meno pronta, di carattere apatico ed indolente e di mentalità più consona al modo di sentire e ai costumi dei “vecchi abissini”. Trovandomi nell’epoca suddetta in A. Abeba, dopo essere stato ricevuto dall’Imperatore andai a fare una visita di cortesia al Duca di Harar, che mi ricevette nella sua nuova bellissima villa, sita sulla Via di Entotto, poco più su del Ghebi Imperiale. Dopo i convenevoli, espressi al Duca il mio compiacimento per essere stato ricevuto con tanta affabilità dall’Imperatore, aggiungendo però che lo avevo trovato fisicamente abbattuto e palesemente stanco. Il Duca mi dette pienamente ragione ed esclamò: ”Come volete che non sia stanco! E’ sovraccarico di lavoro, perché deve fare tutto da sé; tutto, - anche le questioni più piccole dello Stato, - passa per le sue mani...” Avendo io osservato che l’Imperatore tuttavia, era coadiuvato dai suoi ministri, alcuni dei quali erano personalità ragguardevoli per cultura ed esperienza, il Duca mi interruppe e con molta vivacità così replicò: “uomini ragguardevoli?! Ma quali? Citatemene anche uno solo… Sono tutti degli omuncoli, e per lo più infidi, intriganti, preoccupati dei loro propri interessi e delle loro reciproche rivalità, più che dell’interesse e del bene dell’Etiopia… Voi potrete chiedermi: perché non li cambia? Sarebbe perfettamente inutile, perché i cosidetti nostri uomini politici sono tutti uguali, cioè nessuno di essi vale nulla, e il sostituire con altri nomi i Ministri attuali lascerebbe invariata la situazione forzatamente accentratrice di mio Padre.” Qui il Duca di Harar ebbe una pausa. Poi, con fare quasi confidenziale e quasi divertito, mi parlò di te, spontaneamente, senza che il nostro colloquio ci avesse minimamente portati, sino allora, anche soltanto a pronunciare il tuo nome. “Io so – egli disse – che cosa ci sarebbe voluto per il bene di mio Padre e quindi del nostro Paese: il Generale Nasi. A un mio gesto di sorpresa, il Duca riprese: “Sì, il Generale Nasi. Tutti in Etiopia, dall’Imperatore, ai Notabili, al popolo, ricordano il Generale Nasi e ne parlano ancora con ammirazione. Specialmente a Harar, di cui io sono ora il Governatore e dove passo molta parte del mio tempo, non c’è una casa, non c’è una strada, non c’è una fontana, non c’è una pietra (sic) che non ricordi il Generale Nasi, non c’è persona che non parli di lui con deferenza e affetto e col vivo ricordo della sua azione di Governo sempre ispirata alla Giustizia e alla bontà per tutti, italiani e nativi, e costantemente rivolta a far prosperare la regione harariana. Ne parlavamo con mio Padre anche poche sere fa. Io penso che se mio Padre, tornato in Etiopia nel 1941, avesse liquidato tutti quegli etiopici che gli si affollavano intorno per ottenere cariche e prebende, e avesse chiamato come suo “Unico Ministro” il Generale Nasi, le cose dell’Etiopia, sotto il Governo di mio Padre e del Generale, si sarebbero svolte molto più favorevolmente, e oggi il nostro Paese si troverebbe in una situazione politica e sociale ben migliore di quella attuale”. Qui il Duca sorrise, poi con fare più pacato, continuò: “So bene che questa è un’utopia... Ma è peccato. E così, poiché la nostra costituzione prevede l’esistenza di un Governo, composto di tanti Ministeri con a capo tanti Ministri, mio Padre ha dovuto sobbarcarsi sin dall’inizio del suo ritorno sul Trono all’immane fatica di far tutto da sé, di assumersi da solo tutta la responsabilità…, col risultato, che voi stesso avete constatato, di minare la sua salute…”. Quanto mi ha detto (e te l’ho fedelmente riportato) il Duca di Harar, anche se egli stesso ne abbia ovviamente riconosciuto il carattere utopistico, va interpretato come un’originale ma sincera espressione dei suoi sentimenti, concordi con quelli del Padre, nei tuoi riguardi, e torna grandemente a tuo onore come prova della traccia profonda che tu hai lasciato in quel Paese cui hai dato con tanto amore e tanta saggezza l’opera tua. Credimi, caro Nasi, con la vecchia amicizia, tuo aff.mo Renato Piacentini”
Purtroppo, come spesso accade, ben pochi a Modena ricordano questo figlio illuminato che, negli anni difficili della guerra, fu Governatore di Gondar, ultimo dei nostri capisaldi etiopici ad arrendersi alla preponderanza delle forze britanniche. L’opera svolta dal Generale Nasi in Africa aveva suscitato sentimenti di ammirazione e di profonda gratitudine da parte della popolazione e degli stessi ufficiali britannici e questo, per un soldato, è il massimo dei riconoscimenti. Maurizio Lauro
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GIOVEDI’ GRASSO IN SEZIONE
Da ormai 15 anni, nella sede della Sezione di Modena, si festeggia il Carnevale. Fino allo scorso anno il giorno scelto per la riunione è stato il Martedì Grasso, ma quest’anno abbiamo deciso di ritrovarci in occasione del “Giovedì Grasso”. A quanto pare la scelta è stata felice perché la sala, allestita per l’occasione, era gremita di iscritti e familiari.
Il tema che trattato, prima di festeggiare la ricorrenza, è stato l’uso di internet e della posta elettronica. Il relatore, brillante e simpatico, è stato Davide Muzzarelli, figlio del Capo Nucleo del Frignano e patron del ristorante “La Noce”, Ten. Giorgio Muzzarelli.
Il conferenziere, abile informatico, ha condotto la serata consigliando i metodi migliori per usare il computer senza correre i rischi di danni provocati dai virus che facilmente possono essere raccolti navigando in internet. Malgrado l’argomento scelto fosse certamente più serio del tono festaiolo della serata, ha ottenuto una notevole attenzione da parte dei presenti che hanno rivolto numerose domande al relatore dimostrando quanto le tecnologie più recenti siano, ormai, entrate nell’uso comune per tutti
La serata è, poi, proseguita con la tradizionale “merenda” di Carnevale.
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